PLAYOFF 2015, DAY 2 - Appena ventiquattro ore
fa speravamo di assistere ad uno spettacolo d’intensità agonistica, che
tradotto in soldoni voleva dire ‘due
semifinali combattute’. Con il senno di poi possiamo dire di essere usciti da
un cenone di capodanno iniziato e finito con il cotechino, ovvero quello che
per tradizione ti aspetti sempre di trovare, anche se magari poi neanche lo
mangi. Le Finali di wheelchair hockey sono un po’ tutto questo, insieme. Cerchi
di capire quale delle quattro squadre finaliste non vorresti vedere sul gradino
più alto del podio, sempre perché siamo italiani, anche se poi dentro di te
speri solo di vedere uno spettacolo di agonismo, talento, adrenalina, e se
capita anche fortuna, che non guasta mai. La febbrile attesa delle due
semifinali, valide per l’accesso alla sfida scudetto, non ha oscurato la
mattinata dedicata alla serie cadetta. Nella giornata di ieri Dolphins e Dream
Team hanno messo in chiaro la loro posizione di forza rispetto al discorso promozione,
vincendo le gare d’esordio, rispettivamente contro Blue Devils e Madràcs, con
due risultati rotondi, anzi, uno dei due decisamente ‘paffuto’. Il blasone di queste
due grandi del passato hockeystico nostrano ha avuto la meglio sull’inesperienza
di due formazioni imbottite di tanta freschezza ed altrettanta voglia di
crescere, che da sole però, almeno in questo sport, non sono mai bastate per
vincere. Qualche spunto positivo è arrivato dai Madràcs, gli stessi ragazzi di
Udine che fino a ieri sognavano ad occhi aperti, capendo poco o niente di
quello che stava accadendo in campo. I neroverdi hanno saputo dimostrare grande
orgoglio, rialzando subito la testa a meno di ventiquattro ore dalla disfatta della
gara d’esordio, e contro un avversario ancora una volta fuori portata, facendo
rivedere a tratti il gioco ammirato durante l’intera fase a gironi, e
ritrovando un Claudio Comino al tempo stesso lucido e spietato sottoporta. Il
mattatore della partita è stato il solito Occhialini, che di mestiere fa il
capitano. Se nella giornata di ieri ha alternato la sciabola al fioretto, oggi,
in campo, ha messo solo tanta voglia di chiudere la pratica una volta per
tutte. Una nota di merito va spesa in favore di Simone Giangiacomi, altra vecchia
conoscenza anconetana che in questi primi due giorni di gare ha sbagliato poco
o niente. Forse più niente che poco. Come il Dream Team, che ha saputo gestire allo
stesso tempo risultato ed energie, riportando Milano là dove Milano deve stare,
ed era ora.
Qualche sobrio
festeggiamento e un pranzo veloce anticipano il momento più atteso, le due
partite che decidono un bel pezzo di stagione. I primi a scendere in campo sono i campioni in carica padovani, che hanno nei romani in maglia gialloblu
la peggiore bestia nera (per qualsiasi informazione andare alla voce ‘finale-scudetto’
edizione 2011/12 e 2012/13). I Thunder, privi tra i pali di quel monumento di
tenacia umana ed abilità sportiva che risponde al nome di Gabriele Angelini, decidono di affidarsi all’usato sicuro, quello dei tre scudetti consecutivi tanto
per intenderci. E la scelta sembra pagare. I romani arrivano al giro di boa
sopra di uno e, soprattutto, senza aver subito reti. I Coco Loco, però, non
sono più quelli delle due inesorabili sconfitte ad un passo dalla gloria, e lo
dimostrano con una rimonta che sembra essere un trattato di umiltà e nervi
saldi, condita da una vagonata di talento e malizia. Nel terzo quarto i gemelli
del gol iniziano a suonare la loro sinfonia. Quando Salvo crea, Farcasel
realizza; quando Salvo realizza, Farcasel crea. La capitale cede così il passo
a quella che a detta di molti, nonostante il secondo posto nel girone di qualificazione,
rimane la squadra da battere. E conti alla mano l’unica squadra che è stata in grado di
battere la corazzata veneta nelle ultime due stagioni risponde al nome di
Sharks Monza. Sì, peccato che la Brianza Alcolica stavolta ubriaca lo sembra
per davvero. La semifinale contro la rivelazione Vitersport Viterbo non è
propriamente una formalità ma, per il livello di gioco espresso dai lombardi
nel corso dell’intera stagione, poco ci manca. Le partite, però, si vincono sul
campo, e le Pantere laziali, in campo, stanno mettendo tutto, ma proprio tutto.
Quella macchina da gol di Mattia Muratore illude con una doppietta che
sembra proiettare i suoi verso l’agognata finale, sfiorata per ben tre stagioni
consecutive. La piacevole passeggiata di salute degli Squali, verso la fine del
primo quarto, subisce uno scossone improvviso quanto inatteso. Anche dall’altra
parte hanno una macchina da gol niente male, si chiama Fatmir Kruezi, e quest’anno
ne ha buttati dentro circa quaranta. Quella che sembrava ordinaria
amministrazione, in pochi minuti, assume i tratti dello psicodramma tanto
temuto. La maledizione semifinale sembra ripresentarsi prontamente con un
ghigno ancora più sgradevole del solito. Definire la difesa monzese vista tra
il secondo ed il terzo quarto non è semplice, soprattutto per coloro abituati a
vedere i ragazzi di coach Dell’Oca esprimere concetti hockeystici ben diversi.
La difesa recita la parte della bambola voodoo, infilzata più o meno ad ogni
sortita offensiva avversaria, mentre la lampadina del campione sembra spegnersi
definitivamente dopo l’errore dal dischetto che poteva far riavvicinare i suoi
in vista del finale di gara. Ma proprio quando la contesa sembra volgere al
termine succede qualcosa di incomprensibile. La Viterbo corsara che aveva
dominato il campo in lungo e in largo improvvisamente tira i remi in barca,
facendosi schiacciare dietro. La paura di farsi riprendere dalla squadra in
preda allo psicodramma si materializza nella più beffarda delle auto profezie.
Capitan “Fatmir” Uncino non fa più così paura, ed i bimbi sperduti di Monza,
tutto a un tratto, non sembrano più così ‘sperduti’. A guidarli, però, non c’è
Peter Pan, ma il ritorno di Trilly Campanellino, che riaccende la luce su una
battaglia che sembrava perduta, sfrecciando come una scheggia impazzita in
cerca dell’impresa, che puntualmente arriva, con un rigore (stavolta segnato)
che pareggia i conti con il destino. Subire un parziale di 5-1 nel quarto
decisivo insegna che la partita non la puoi vincere, ed infatti Viterbo si
sgretola definitivamente ai tempi supplementari, abbattuto dai due gol decisivi
del solito Mattia “Trilly” Muratore. Nemmeno l’improvviso malore di Luca Vanoli
(a proposito: non facciamo scherzi, domani in campo!), e un rigore a favore sul
finale (quello vero) sono bastati ai laziali per tirarsi fuori dal pantano nel quale,
purtroppo, si sono andati a cacciare da soli. Probabilmente la partita più
bella, e allo stesso tempo drammatica, degli ultimi anni. Incubo da una parte, favola
a lieto fine dall’altra. Del resto il buon James Matthew Berrie l’Isola che non c’è cosa l’aveva immaginata
a fare…
Fabregas
(foto - S. Bonezzi)
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